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Il Compositore Alfredo Catalani

(Lucca, 19 giugno 1854 – Milano, 7 agosto 1893)

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Apparteneva a una nota famiglia di musicisti ed era figlio di un maestro di musica (allievo di Giovanni Pacini), dal quale ebbe i primi insegnamenti. La madre, invece, era direttrice di un collegio.

Iniziò a studiare nella sua città natale, presso l'Istituto Musicale Pacini (oggi Boccherini), avendo tra i docenti Fortunato Magi (zio di Giacomo Puccini), poi a Parigi, con François-Emmanuel-Joseph Bazin, e infine al Conservatorio di Milano, con Antonio Bazzini. Proprio a Milano, terminati gli studi, Catalani si mise in vista presentando un breve lavoro eccentrico e vigoroso intitolato La falce, egloga araba per due voci e coro su libretto di Arrigo Boito. Ne fu entusiasta, in particolare, il critico Filippo Filippi. Poco tempo dopo, il pittore Tranquillo Cremona, ispirato da un incontro casuale fra Catalani e Lisetta Cagnoli nel suo studio, ritrasse entrambi in un dipinto tardoromantico conosciuto come L'edera. Il quadro rappresenta la fine di un amore, ma finirà col diventare il simbolo della morte prematura del musicista, occorsa per un aggravamento della tisi (allora incurabile) di cui soffriva.

Dopo il felice esordio de La falce (1875), Catalani (che nel frattempo si era stabilito a Milano) si mosse in una cornice vicina alla scapigliatura milanese e agli artisti più progressisti, tenendo conto, oltre che della lezione di Richard Wagner, del rinnovamento sinfonico e del dramma lirico francese. Ma da questo impegno scaturirono solo alcune opere, considerate unanimemente secondarie dalla critica: la mal riuscita Elda (1880), rappresentata in una versione modificata di Carlo Pedrotti (la partitura originale non è mai stata eseguita), Dejanice (1883) ed Edmea (1886). Dejanice fu tuttavia lodata dal giovane Giacomo Puccini. Tra Dejanice ed Edmea, si colloca l'originale esperimento di Ero e Leandro, poema sinfonico ispirato al modello lisztiano, eseguito nel 1885. Catalani, intanto, si avvicinava sempre più a certe atmosfere nordiche, dalle quali scaturì la sua opera successiva: Loreley (rifacimento di Elda), composta nel 1886/87.

Nell'aprile del 1888 (dopo una faticosa disputa) ottenne la cattedra di composizione presso il Conservatorio di Milano, mentre nel maggio del medesimo anno avvenne la fusione tra l'editrice Lucca (fino a quel momento detentrice dei diritti di Catalani) e l'editore Giulio Ricordi, che perciò diventerà il possessore delle opere catalaniane.

Nel 1889 si fidanzò ufficialmente con una cugina di parte materna, Luisa Picconi, con la quale però, dopo pochi mesi, arrivò ad una dolorosa rottura. In questo periodo, fra l'altro, iniziò a comporre quella che sarà la sua ultima opera: La Wally.

Nel febbraio del 1890 si recò a Torino per la prima di Loreley, che ottenne un buon successo.

Nel 1891 venne ultimata la stesura de La Wally, che sarà rappresentata alla Scala di Milano il 20 gennaio dell'anno successivo con buon esito. Quest'opera (l'ultima del compositore) testimonia palesemente un nuovo stile, apre la via a Giacomo Puccini e rimane fondamentale nell'evoluzione della musica lirica italiana. Gustav Mahler, che la diresse ad Amburgo, la considerava "la migliore opera italiana". Nel 1892, dopo la prima scaligera, La Wally venne splendidamente ripetuta nel mese di settembre al Teatro del Giglio di Lucca con la direzione di Arturo Toscanini, grande estimatore di Catalani. Nello stesso anno il musicista lucchese ottenne due buoni successi anche al Teatro Carlo Felice di Genova: in febbraio con Loreley, e in autunno, quando venne nuovamente presentata La Wally. Successivamente, cominciò a pensare a un nuovo lavoro (Nella selva), che però, a causa della morte prematura, resterà allo stato di abbozzo.

Nell'estate del 1893, Catalani, prostrato dall'ormai cronica tisi (di cui erano già morti sia la sorella che il fratello), decise - come d'abitudine - di andare in montagna per ristabilirsi. Partì quindi per la Svizzera, ma a Chiasso (durante il viaggio) venne colpito da una violenta emottisi che lo costrinse a rientrare a Milano. Il 7 agosto 1893, dopo alcuni giorni di agonia, Alfredo Catalani, a soli 39 anni, moriva dopo una vita drammatica e tormentata. Due giorni dopo, venne provvisoriamente sepolto nel Cimitero Monumentale di Milano.

Soltanto il 16 marzo 1894, dinnanzi alle autorità cittadine, la salma verrà definitivamente traslata nella natia Lucca, presso il famedio del cimitero monumentale di Sant'Anna. Giuseppe Verdi non partecipò nemmeno con un modesto telegramma al cordoglio del mondo musicale italiano per la morte di una delle maggiori promesse della giovane scuola. Giulio Ricordi non fu da meno, boicottando la rappresentazione delle opere catalaniane. Sarà solo a partire dal 1905 che Arturo Toscanini imporrà la ripresa di esse. Catalani, quindi, riacquisterà fama nel corso del Novecento, almeno fino agli anni settanta. Negli anni ottanta dello scorso secolo il Teatro del Giglio di Lucca mise in scena una serie di opere di Catalani, alcune delle quali rarissime nei cartelloni (La Falce, Dejanice ed Edmea). Nei medesimi anni l'Associazione Musicale Lucchese, in collaborazione con l'Orchestra Lirico Sinfonica dello stesso Teatro del Giglio riprese la Messa in mi minore per soli, coro e orchestra. L'ostracismo alla Scala di Claudio Abbado e il successivo disinteresse di Riccardo Muti hanno fatto sì che oggi, in Italia, il compositore sia quasi dimenticato. Viceversa, dopo la rappresentazione de La Wally a Bregenz nel 1991, Catalani è divenuto nel centro-Europa, nei paesi nordici e nei paesi slavi, un autore di normale repertorio. In anni recenti sempre per iniziativa dell'Associazione Musicale Lucchese sono stati eseguiti e registrati i venti brani per pianoforte.

Nonostante l'apprezzamento del pubblico, la critica ufficiale è sempre stata poco benevola verso Catalani, al quale è stato spesso rimproverato di essere troppo "wagneriano" (e quindi poco italiano). Non è certo un caso, del resto, che due opere come Cavalleria rusticana e Pagliacci si siano affermate in modo più deciso rispetto alle coeve Loreley e La Wally. Non bisogna poi dimenticare l'ostracismo di Giuseppe Verdi, il quale non apprezzò affatto le opere di Catalani, criticandole duramente e accusando il compositore lucchese di stravolgere la musica italiana tedeschizzandola (definì La Wally "opera tedesca, priva di cuore e ispirazione"). Dopo averlo ostacolato in vita (e convinto Ricordi a boicottarlo), il bussetano (forse preso da rimorsi) ordinò - dopo la morte del compositore - un busto da mettere nella casa di Sant'Agata.

Per conoscere a fondo la personalità complessa (ma affascinante) di questo valido compositore, sono consigliabili due volumi pregevoli. Il primo, molto interessante (soprattutto dal lato biografico), s'intitola Catalani, e venne scritto da Carlo Gatti, per la Garzanti, nel 1953. Gatti (va ricordato) conobbe personalmente Catalani, poiché fu allievo del Conservatorio di Milano proprio negli anni in cui il musicista lucchese vi insegnava. Nel 2009 è uscita un'altra monografia sulla vita e le opere del compositore, opera del musicologo triestino Paolo Petronio. In essa vengono analizzate a fondo tutte le opere e le altre composizioni di Catalani, ed illustrati gli interessanti collegamenti del compositore con le scuole francese e mitteleuropea. La prima monografia sulla sua figura e sulla sua produzione si deve comunque al musicologo Renato Fondi, che ne ultimò la stesura nel 1927. Il saggio non è mai stato pubblicato, ma è stato rinvenuto nel 2004. In esso vi si legge: "Catalani è un italiano degno di questo nome, e ogni italiano vero che ancora sia tenuto bestialmente in disparte deve risorgere più vivo e più vivido che non lo fosse nell'età confusa e nuvolosa che dal 1870 arriva nientemeno al 1915".

 

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