Tambellini: "Basta contrapposizioni interne. Pensiamo ad uscire dalla crisi"

Il Sindaco interviene sui problemi di attualità politica ed economica

28/10/2013
Politica
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Gramsci, nelle sue mirabili analisi sulla configurazione della politica del ‘900, vide nel “partito” l’evoluzione dei modi del potere che la passione civile di Machiavelli aveva ascritto al Principe. Il sistema dei partiti, previsto dalla Costituzione, è entrato in crisi nel nostro paese negli anni Novanta, quando fu chiara l’illecita pervasività della politica all’interno del mondo economico e sociale. E la crisi dura tutt’ora, con un universo politico oggi definito spesso “liquido” dagli opinionisti, per indicarne la mutevolezza, ma che a me pare piuttosto a rischio di completa liquefazione, come dimostrano anche i dati in calo nella partecipazione alle elezioni di appena ieri per le province di Trento e Bolzano.

Eppure, in attesa di capire quali modi formativi assumerà la politica nel terzo millennio, i partiti restano ancora l’unico strumento di elaborazione di strategie utili politicamente e di formazione della classe dirigente. Non sono tra coloro che sperano nella dissoluzione del centrodestra, semplicemente perché potrebbe essere seguita dalla voglia di dissoluzione del Partito Democratico, con esiti per l’Italia che non oso neppure immaginare. In un Paese maturo due differenti concezioni dell’economia, della politica e della società, centrate su diversi sistemi di valori, dovrebbero potersi confrontare all’interno di una coerenza di regole che il governo d’emergenza delle “larghe intese” deve darsi come compito primario, insieme con l’uscita della fase di gravissima emergenza che stiamo vivendo. Non è così. Ogni occasione, all’interno dei partiti, tra cui il PD che in tal senso è maestro, diviene occasione per la resa dei conti interna, in vista di posizionamenti e tattiche di occupazione del potere attuali e future. Anche un congresso comunale o provinciale diventa occasione buona in tal senso. Prima viene lo scontro interno con le sue logiche di potere, poi, molte posizioni indietro, viene la politica e l’elaborazione delle strategie utili per le soluzioni che la politica deve assicurare.

Abbiamo la percezione giornaliera di un Paese in costante decadenza, con sei milioni di disoccupati, con percentuali di povertà altissime e intere generazioni di giovani, in gran parte condannate all’inattività o, nel migliore dei casi, a condizioni di lavoro in assenza di diritti. Rischiamo la deindustrializzazione e la marginalità politica rispetto al gruppo dei paesi leader a livello internazionale, al quale in precedenza ci fregiavamo di appartenere. Abbiamo un sistema ambientale dissestato al punto che ogni pioggia è un annuncio di catastrofe; abbiamo un sistema di tassazione altissimo a fronte di una resa dei servizi insoddisfacente e di un apparato burocratico-amministrativo scarsamente efficiente. E Lucca e i territori circostanti, pur forse in condizioni migliori che nel resto del Paese, non sono comunque al di fuori delle condizioni che gravano oggi sull’Italia.

In questo contesto mi pare evidente quanto sia necessario un gruppo dirigente investito di una responsabilità enorme: restituire efficienza al sistema politico con un piano coerente di riforme istituzionali, sociali ed economiche. Può essere tutto questo il frutto di contrapposizioni interne, di rese dei conti per far piazza pulita degli avversari? Oppure dovrà essere il frutto di una straordinaria collaborazione, senza interessi né individuali né di parte, per raggiungere i risultati più alti, in un’epoca che ha bisogno di capacità di elevazione sul piano del pensiero e dell’elaborazione del pensiero, oltre che sul piano dei comportamenti etico morali? Affido il quesito a chi coglie, nel Partito Democratico, ogni occasione per sconfessare e bandire l’altro, che poi non dovrebbe essere un nemico, ma solo un compagno di viaggio nel tentativo di far cose buone per il mondo che abbiamo intorno.

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