Ha fatto molto discutere l'articolo del New York Times dedicato all'olio extravergine toscano.
Secondo il noto giornale statunitense, infatti, gli italiani falsificherebbero l'olio per cui sono famosi, mescolandolo con olio spagnolo, tunisino e marocchino.
Quello che viene esportato in tutto il Mondo, sempre secondo le insinuazioni oltreoceano, altro non è che un prodotto a bassa qualità e di basso costo, che niente ha a che vedere con l'olio pregiato per cui l'Italia è famosa.
Come se non bastasse, il New York Times sostiene che vengono effettuate anche modifiche chimiche per produrre olio.
Questo iter di falsificazione è stato poi trasformato in vignette dall'art director del Times, Nicholas Blechman.
(QUI il link)
Accuse forti, che non fanno bene all'industria italiana e toscana.
La risposta della Confederazione Italiana degli Agricoltori non ha tardato ad arrivare. Di seguito una nota di Giampiero Tartagni, presidente della Cia.
L'olio, storicamente, rappresenta una delle produzioni di eccellenza del territorio lucchese e la Cia-Confederazione italiana agricoltori di Lucca non ci sta e rimanda al mittente le accuse mosse dal 'New York Times' a uno dei prodotti più pregiati della nostra agricoltura.
«I produttori di olio della nostra terra – commenta il presidente della Cia Toscana Nord, Gianpiero Tartagni – hanno sempre valorizzato e difeso la qualità e la tipicità del proprio olio, fino a farlo divenire uno degli 'ambasciatori' dell'intera provincia. Non accettiamo, quindi, che il nostro lavoro venga così sminuito, attraverso una generalizzazione del fenomeno della sofisticazione che sicuramente esiste, ma che, come Cia, stiamo contrastando con la massima determinazione, favorendo l'attività delle autorità competenti in materia, in modo che possano essere svolti quei controlli capillari che fanno sì che tale fenomeno sia arginato».
Il 'New York Times', in quindici vignette e con un titolo ad effetto – 'Il suicidio dell'extravergine' – ha denunciato che l'olio d'oliva importato da Spagna, Marocco e Tunisia, viene mischiato a oli di bassa qualità e sofisticato con betacarotene per modificarne il sapore. Una volta effettuata questa 'lavorazione', il prodotto finale viene venduto come olio italiano.
«Attacchi di questo genere – afferma Tartagni – rischiano di vanificare quel lavoro attento e importante che viene fatto, da anni, per far conoscere il nostro territorio attraverso le sue tipicità agroalimentari. Da tempo stiamo investendo in questo tipo di promozione e stiamo avendo dei riscontri positivi e importanti, come dimostrano i numeri che fanno manifestazioni quali 'Il Desco', per citarne solo una. Poi arrivano questi campagne e, improvvisamente, ad essere messa in discussione è la nostra credibilità, ancor prima che il nostro prodotto. Per questo non possiamo che stigmatizzare quanto scritto dal quotidiano americano e rifiutare con forza queste accuse che non sentiamo nostre».
In Italia, inoltre, è in vigore una legge che contiene importanti misure per reprimere e contrastare frodi e sofisticazioni nel settore olivicolo e per valorizzare – attraverso un'etichetta trasparente – il vero extravergine 'made in Italy'.
«Ritengo – conclude Tartagni – che quanto scritto da New York Times, più che una denuncia, sia solo un gettare fango sull'olio italiano: in questo modo, però, non si contribuisce alla lotta alle sofisticazioni e alle frodi, ma si danneggia un settore nel suo complesso, penalizzando i produttori seri e creando confusione tra i consumatori e creando un forte danno di immagine a territori, quale il nostro, che ha fortemente investito sui prodotti tipici locali».
Parafrasando Freud, ci troviamo forse di fronte ad un caso di “invidia dell'olio”?
Quale sarà il prossimo prodotto tipico italiano che sarà bersaglio di vignette satire USA? Magari, il vino?