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Giorgi (5 stelle): no all'antenna per il San Luca

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Il tema riguardante l’installazione dei ripetitori per la telefonia mobile è molto dibattuto e infuriano le polemiche in molti comuni italiani, non ultima Lucca.
Riguardo l'ipotesi di realizzare un'antenna utile a risolvere i problemi di comunicazione nei locali dell'ospedale San Lucca, si esprime Giorgi, consigliera del Movimento 5 stelle.

"Affrontiamo il tema sotto il profilo delle necessarie autorizzazioni comunali e, a tale proposito, abbiamo trovato una sentenza del Tar Sicilia che affronta il tema sotto il diverso profilo delle necessarie autorizzazioni comunali. 

La sentenza è molto tecnica e leggiamo questo passaggio fondamentale: in sostanza, “come si è già statuito in fattispecie analoga, con sentenza n. 9/08 del 09/01/08 – ancorché il Comune mantenga intatte le proprie competenze in materia di governo del territorio, queste tuttavia, per espressa valutazione legislativa, non possono interferire con quelle relative alla installazione delle reti di telecomunicazione e, in particolare, non possono determinare vincoli e limiti così stringenti da concretizzarsi in un divieto di carattere pressoché generalizzato (e senza prevedere alcuna possibile localizzazione alternativa), in contrasto con le esigenze tecniche necessarie a consentire la realizzazione effettiva della rete di telefonia cellulare che assicuri la copertura del servizio nell’intero nel territorio comunale”.

Il che, tradotto, significa in sostanza che il Comune non può, mediante il formale uso degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, attuare misure in deroga rispetto ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato per la tutela o il governo del territorio e per la tutela della salute dai rischi dell’elettromagnetismo. L’art. 4 della L. n. 36 del 2000 riserva allo Stato attraverso l’individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione e obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M.( DPCM - Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana), su proposta del Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro della Salute.

E' evidente la debolezza di tutela del cittadino privato, di fronte alla pubblica amministrazione avanti ai Tribunali Amministrativi, laddove si affrontano le tematiche specifiche in ordine alla corretta applicazione delle norme e principi regolamentari e no, nello specifico, agli eventuali danni alla salute e/o patrimoniali che possano conseguire all’installazione (e conseguente esposizione) delle persone alle emissioni degli impianti.

La legge Italiana, e  le relative Norme CEI basano - al momento -  il limite di accettabilità delle radiazioni che fa riferimento ad un valore massimo di campo elettrico, per i siti abitati, pari  a 6 Volt/metro.  E’ stato tuttavia mostrato che le radiazioni elettromagnetiche ad alta frequenza  hanno, a lungo termine, effetti biologici negativi sull’uomo  per dosi assorbite  corrispondenti ad un campo elettrico di 1 Volt/metro, e quindi assai più basse di quelle previste dalle attuali Leggi Nazionali e Regionali.   La posizione che viene assunta in Italia come presupposto della esistente  normativa è che  “non esistono ancora sufficienti risultati che dichiarino per certi gli effetti biologici negativi sull’uomo delle radiazioni a bassa dose e lungo termine”.

La legislazione nazionale che regolamenta le esposizioni della popolazione ai campi elettromagnetici emessi da sorgenti fisse per le telecomunicazioni,  che dovrebbe agire nell’ottica del “principio di precauzione”, per la protezione dai possibili effetti a lungo termine, ha fissato dei “valori di attenzione” che non hanno alcun fondamento scientifico/sanitario (se non quello, puramente numerico, di essere stati ottenuti dividendo il limite di esposizione per gli effetti noti, fissato a 1 W/m2, per un arbitrario fattore 10) e sono frutto di una decisione prettamente politica, presumibilmente basata su considerazioni sociali ed economiche, alla quale l’ISS (principale organo tecnico scientifico del Servizio Sanitario Nazionale) non ha concorso in alcun modo. (Questa è la dichiarazione del prof. Alessandro Polichetti direttore reparto radiazioni non ionizzanti di ISS).
E’ in ogni caso certo che, in base ai risultati già oggi disponibili, nessuno possa almeno negare che effetti biologici negativi possano esservi. Anche in questo caso è quindi necessario intervenire per eliminare i rischi, ritenuti solo potenziali.

Occorre infatti ricordare che la Costituzione italiana, Art. 32, tutela la salute del cittadino non solo come bene individuale, ma anche come bene collettivo (e infatti abbiamo  un Servizio Sanitario Nazionale), e che tale tutela è prevista in termini preventivi. Vi sono quindi ragioni sufficienti  per un’applicazione non demagogica del cosiddetto “Principio di Precauzione “, la cui enunciazione più comune è la seguente:  “Il Principio di Precauzione stabilisce che l’assenza di una piena certezza scientifica NON dev’essere usata come una ragione sufficiente per posporre decisioni, là dove ci sia il RISCHIO di effetti seri ed irreversibili “.

Ripetendo il concetto, si può dire che il Principio di Precauzione è ampiamente riconosciuto come un adeguato criterio per governare situazioni che possono creare danni seri ed irreversibili, quando esistano validi motivi per farlo, anche se non si ritiene ancora stabilita una certezza scientifica.     

Il Principio di Precauzione è una efficace base che una Amministrazione deve usare, con buon senso e senza demagogia, per  determinare  giuste scelte in quei casi ove  la scienza  abbia già dato significative indicazioni,  anche quando non ci siano ancora risposte ritenute universalmente certe.  Una Amministrazione  Locale funzionale, dovrebbe  adottare criteri di esposizione cautelativi, pianificare le installazioni in contradditorio con i Gestori e le Associazioni o Comitati  rappresentanti dei cittadini, eseguire istruttorie rigorose delle richieste di nuove installazioni, predisporre controlli sulle installazioni già fatte e sanzioni  per gli inadempimenti, stabilire controlli continui sul territorio, indennizzare i cittadini che, per ragioni di pubblica utilità, sono costretti a vivere vicini ad antenne.

Ricordiamo ed è fondamentale farlo che quando si cominciò a sospettare che l'amianto fosse cancerogeno era oltre 20 anni fa; ci sono voluti vent’anni per mettere al bando l'amianto.

E’ bene quindi non installare per precauzione nessun tipo di antenna vicino o sopra siti deboli tipo scuole, ospedali, ecc...e punto non da poco che le amministrazioni comunali, anche se hanno dato parere favorevole alla costruzione di ripetitori da parte di privati, possono poi fare causa nel caso di eventuale prova di rischio per la salute dei cittadini.

 

Oltre al possibile danno alla Salute, la presenza di antenne vicine a un’abitazione danno luogo a una svalutazione della proprietà, ciò è ormai riconosciuto.

I Gestori e il Comune che dà la concessione dovrebbero quindi predisporre  le necessarie forme d’indennizzo ai proprietari d’immobili vicini agli impianti.

Sta agli Enti Locali stabilire  le necessarie regole guida per la determinazione degli indennizzi.  L’indennizzo ai proprietari vicini alle antenne  deve far parte degli oneri che i  Gestori devono sostenere  per avere le autorizzazioni, mentre da parte loro  i Comuni, alla luce della riconosciuta pubblica utilità di un’installazione, devono annullare o ridurre, secondo casi, il pagamento dell’IMU ai proprietari vicini alle antenne.


In conclusione no all’antenna:.

- Per mancata previsione di indennizzo ai proprietari delle abitazioni limitrofe indennizzo di competenza dei gestori di telefonia.
- Per mancata previsione di riduzione delle tasse TASI IMU e altre da parte del comune.
- Perchè, è bene ricordarlo, la mancanza di segnale telefono non è un problema essenziale, specie in un ospedale come il San Luca, ad alta intensità di cure, dove i  cellulari devono essere spenti.

In ogni caso, anche nella sciagurata ipotesi che questa maggioranza dia l’approvazione, chiediamo che venga prevista l’istallazione sugli impianti di limitatori piombati della massima potenza trasmissibile. La relazione dell’ARPAT è fatta per un determinato limite di potenza emessa, ma non c’è un controllo effettivo che durante l’esercizio vengano attivati più canali e aumentate le potenze, visto che in genere i trasmettitori istallati sono notevolmente più potenti, rispetto alla potenza autorizzata di esercizio".

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