Nell’ormai già troppo discusso ’68, mi iscrissi alla facoltà di Medicina e Chirurgia di Pisa con estrema determinazione e pienamente convinto che se Ippocrate avesse potuto vedermi, gli avrei dato modo, nel tempo, di essere fiero di me. Mio padre lo fu da subito e per questo motivo fu anche il più deluso in assoluto quando, tre anni più tardi, dissi in casa che avrei abbandonato gli studi per restare all’allora leggendaria Bertolli , simbolo di Lucca e della “lucchesità”, dove, curioso di conoscere il mondo del lavoro, ero entrato per prova e dove, al termine della stessa, mi avevano proposto l’assunzione a tempo indeterminato. Tutti, tranne mio padre, mi dissero che avevo fatto benissimo perché entrare a lavorare lì era come aver vinto al Totocalcio, che era come entrare in Banca, che gli stipendi erano buonissimi: fatto è che, invece che di sangue e ossa, mi ritrovai a parlare di olio e pelati.
Il lavoro mi piaceva molto, mi dava modo di girare un bel po’, di conoscere posti e persone e, finalmente, il mio Direttore commerciale, Dott. Arrighi, che ricordo con affetto, pensò bene di mandarmi a fare un controllo alla filiale di Napoli: Napoli mi aveva sempre affascinato, ma era la prima volta che la visitavo.
Mi sembrò addirittura che qualcuno avesse organizzato il tutto per rendere questo mio viaggio indimenticabile: la giornata era stupenda, il traffico a Capodichino non ci permise di atterrare subito e per circa mezz’ora il pilota volò in cerchio mentre la hostess ci indicava Capri, Ischia, il Vesuvio e la Costiera Amalfitana e il responsabile della filiale che trovai ad attendermi all’”Arrivo bagagli”, non solo era simpatico, ma era gentile e ospitale come solo i meridionali sanno esserlo.
La settimana di lavoro, si trasformò immediatamente in una piacevole, imprevista vacanza.
Il giorno dopo, il responsabile, il capoarea ed un vecchio agente vollero, per forza, portarmi a pranzo in un ristorante vicino al mare che mi sembra di ricordare si chiamasse “Al Sarago”: prima che arrivasse il cameriere a prendere l’ordinazione, venne portato in tavola un piatto enorme con una montagna di spaghettoni addirittura più grossi dei pici di Siena e conditi con una specie di buonissimo ragù in bianco.
Quel piatto si chiamava “perditempo” e, senza stoviglie, ma dotati di sola forchetta, bisognava attingere tutti direttamente dal vassoio come si faceva una volta quando rovesciavano la polenta in mezzo al tavolo. Mi fu spiegato che quando si mangia si mangia e non si può perdere tempo ad aspettare tra una portata e l’altra; ed è per questo motivo che, dopo un antipasto che da solo sembrava un pranzo di matrimonio, ci portarono una focaccia di mezzo metro di diametro farcita con spinaci saltati e mozzarella, in attesa che arrivassero i primi.
Quando ero già pronto per un bel “Diger selz” il cameriere, con aria complice e a voce bassa, mi consigliò, come primo, “pasta e fagioli con le cozze”.
Pasta e fagioli con le cozze? Pensai seriamente che mi prendesse in giro e la cosa mi infastidì un bel po’, ma quando due dei miei commensali optarono per quella con molto entusiasmo, spinto soprattutto dalla curiosità più che dalla convinzione, la ordinai anch’io.
Capii d’aver sbagliato quando vidi arrivare quella pasta corta mista come se avessero messo insieme tutti gli avanzi di due o tre mesi, e capii, invece, di non aver capito nulla, appena l’assaggiai… Stupenda, incredibile!
Ne avrei mangiato un altro piatto altrettanto pazzesco come quello che avevo già spolverato, se non avessi avuto paura di morire così giovane e così lontano da casa.
La ricetta che mi dette sottovoce il cameriere prevedeva di cuocere i fagioli bianchi in acqua, aglio e una costola di sedano e una cipolla nel mentre che, in un’altra pentola capace, sta sfriggendo ancora uno spicchio d’aglio con un pizzico di peperoncino e qualche pomodorino aperto a metà; si devono far aprire in una padella le cozze, quindi vanno tolte dal guscio e messe da parte. L’acqua fuoriuscita dalle cozze durante la cottura va filtrata e insieme ad un po’ d’acqua di cottura dei fagioli ed i fagioli stessi, va versata nella pentola dove è stato fatto lo sfritto con i pomodorini. Appena spicca il bollore, si buttano dai 50/60 agli 80/90 grammi a testa a seconda che la si voglia un po’ più brodosa o un po’ più tipo pastasciutta, si regola di sale e una volta nei piatti si spolvera di prezzemolo tritato finemente e di pepe macinato al momento.
Ero soddisfatto di aver “carpito” una ricetta così speciale, quando il capofiliale, anche lui sottovoce, mi disse che in casa sua non si facevano tante storie: in casa sua piaceva molto la pasta e fagioli con dentro un bel pezzo di cotica che sua moglie però non metteva quando volevano mangiarla anche con le cozze.
Quindi, quando avete il solito vostro brodo di fagioli, aggiungete il liquido delle cozze, buttate una pasta corta adatta per pasta e fagioli, anche se la più indicata è veramente quella mista che ora, a differenza di anni fa, si trova in tutti i supermercati e quando spegnete il fornello aggiungete i molluschi.
Le cozze se le fate aprire con un po’ di aglio, peperoncino e prezzemolo e ci sfumate del vino bianco come quando le fate “alla marinara”, è ancora meglio. Lasciate del brodo di fagioli da parte e lo aggiungerete o meno durante la cottura a seconda che preferiate mangiarla col cucchiaio o con la forchetta.
In poche parole, secondo il capofiliale, (e io condivido pienamente), è meglio cuocere la pasta nel passato di fagioli che nell’acqua della loro cottura.
Non voglio annoiarvi ancora, ma se vi dimenticate di mettere in ammollo i fagioli la sera prima, non rinunciate al piatto: la mia cara amica Giuliana, moglie dell’ancor mio più caro amico Piero, detto Cacini, e soprattutto cuoca sopraffina, anzi, la migliore al mondo per suo marito (che però non è obiettivo perché più che con il palato la giudica con gli occhi dell’amore), mi ha insegnato un trucco bellissimo e veramente valido, che a suo tempo mi sorprese non poco.
Mettete i fagioli in acqua sufficiente a coprirli, fategli prendere il bollore e dopo una manciata di secondi toglieteli: metteteli di nuovo in pentola con acqua fredda, ma questa volta per cuocerli come se li aveste ammollati tutta la notte. Il risultato vi sorprenderà.
A molte persone, quando si parla di Napoli, vengono in mente il mandolino e la pizza… Altro che pizza!
Che io ricordi, in pochi posti sono stato bene ed ho mangiato così bene come a Napoli.
Ho sempre detto ai miei figli che mi piacerebbe tanto trascorrere i miei ultimi giorni (meglio se anni) a Positano, a Furore o in Costiera Amalfitana in genere. Ma se non fosse proprio possibile e mi toccasse passarli a Mergellina o a Posillipo in via Orazio, credo che mi sacrificherei senza protestare.